Il pesce plastica: si può gestire la contaminazione?

Mangereste plastica a colazione?

Nessuno di noi ovviamente lo farebbe in modo consapevole. Ormai diversi studi hanno dimostrato che ingeriamo microplastiche ogni giorno, in modo diretto tramite bevande e alimenti e in modo indiretto. Dallo studio realizzato dall’Università australiana di Newcastle commissionato da WWF International è risultato che ogni giorno ingeriamo una quantità di microplastiche pari a circa 21 g al mese. Tutto questo ovviamente fa riflettere non solo sul livello di inquinamento che caratterizza il nostro pianeta, ma anche sui rischi ai quali viene esposto l’essere umano. La ricerca si sta concentrando sull’analisi degli impatti che questa “alimentazione” avrà sull’uomo, ma ad oggi non ci sono ancora risposte chiare.

Ma cos’è la microplastica e da dove viene?

La microplastica è composta di particelle molto piccole di materia plastica (generalmente inferiori a 5 mm). Questi frammenti possono formarsi accidentalmente in seguito al deterioramento di pezzi di plastica più grandi, compresi i tessuti sintetici, oppure essere fabbricati e aggiunti intenzionalmente a determinati prodotti per uno scopo specifico, ad esempio come granuli esfolianti negli omonimi preparati per il corpo e per il viso. Una volta rilasciati nell’ambiente, tali frammenti possono accumularsi nell’organismo di animali, come pesci e crostacei, e di conseguenza essere ingeriti anche dai consumatori sotto forma di cibo.

Ci sono alimenti maggiormente soggetti a rischi?

Sempre le indagini commissionate dal WWF hanno evidenziato un elenco di alimenti e bevande comuni contenenti microplastiche, come l’acqua potabile, la birra, i crostacei e il sale. È proprio l’acqua (ci sono poche differenze tra acqua del rubinetto e acqua in bottiglia) a contenere più plastica: i ricercatori hanno stimato che, potenzialmente, una singola persona, può assumere in una settimana circa 1769 particelle di plastica solo bevendo acqua. Il problema, secondo alcuni ricercatori, è un altro: ci si concentra spesso solo sulle microplastiche, ma non basta. Bisogna prendere infatti in considerazione anche il fatto che molti degli alimenti che consumiamo sono imballati in questo prodotto, ed è anche per questo che ingeriamo costantemente sostanze nocive. Anche secondo l'ultimo rapporto di Greenpeace sulla questione, “Microplastic investigation in water and trophic chain along the Italian coas”, negli organismi marini appartenenti a specie diverse, sono risultati presenti microplastiche di dimensioni inferiori ai 5 millimetri nel 25/30% dei soggetti analizzati. La maggior parte delle plastiche ritrovate è fatta di polietilene (PE), ovvero il polimero con cui viene prodotta la maggior parte del packaging e dei prodotti usa e getta.

Come gestire il rischio in azienda?

È evidente che il rischio derivante dalla contaminazione da plastica deve essere inserito nei piani di autocontrollo per valutarne gravità e frequenza e per monitorarne gli impatti. Attualmente i dati a disposizione sono limitati, ma in continuo aumento perché elevata è l’attenzione del consumatore e dei media. Per questi motivi è importante monitorare sviluppi scientifici e le statistiche mondiali messi a disposizioni da diverse fonti e analizzare i dati relativi ai propri prodotti. Tali analisi possono guidare l’azienda nel comprendere con maggiore precisione le fonti di contaminazione per limitare il rischio, ove possibile.

Per saperne di più in merito alle normative vigenti e per integrare il tuo piano di autocontrollo contattami!

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